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giovedì 22 maggio 2008

Incontro con Daniele Bollini della Comunità Shambhala

Nell'ambito del ciclo di incontri interreligiosi organizzati da Elettra Cugini presso il Circolo di Montevecchio, la giornata del 9 marzo è stata dedicata alla presentazione della comunità Shambhala. Ne pubblichiamo qui di seguito la relazione scritta da Elettra.
Relatore dell'incontro è stato il Prof. Daniele Bollini, leader della Comunità Shambhala del Canton Ticino, venuto appositamente dalla Svizzera per farci ascoltare i suoi insegnamenti.
La sua relazione, lucida e chiarissima oltre che emotivamente coinvolgente, ha molto interessato i nostri numerosi intervenuti.
La mèta fondamentale di questo approccio, come il Prof. Bollini ha subito spiegato, è quella di creare una “società illuminata”, basata sulla pacifica e saggia interazione e collaborazione dei suoi componenti.
Il Prof. Bollini ha iniziato con il distinguere società che pensano di creare il loro pseudo-benessere secondo un’ottica materialistica (es. il prodotto interno lordo o il grado di distribuzione della ricchezza) e quelle che invece si propongono ed attuano mete diverse , il cui principale indicatore egli ha definito come “felicità interna lorda”. Da tale punto di vista, pare che la Danimarca e la Svizzera siano al 1° e 2° posto a livello mondiale, gli USA al 15° e l’Italia al 26°, mentre un piccolo paese dell’Himalaya, il Buthana, che pure presenta alte percentuali di analfabetismo e di povertà, pare che superi da questo punto di vista la maggior parte delle nazioni europee, inserendosi all’8° posto. Forse il loro segreto, afferma il relatore, sta proprio nel fatto che la loro credenza buddhista ha creato un alto senso di responsabilità e di retto agire- e quindi un maggior benessere- in base alla convinzione che , secondo il principio del karma, tutte le proprie azioni, buone o cattive, determinano ineliminabili conseguenze positive o negative.
Per questo tale paese viene oggi considerato da taluni come l’erede moderno di Shambhala, cioè di un antichissimo regno himalayano che, 600 anni circa prima di Cristo, riuscì a realizzare una società illuminata, seguendo i diretti insegnamenti impartiti dal Buddha al suo sovrano. Alcuni dicono che tale regno sia stato creato solo a livello mitico, altri che sia realmente esistito ma si sia dissolto allorché raggiunse il più alto livello di illuminazione e altri ancora che sia oggi ancora lì, anche se noi non siamo capaci di percepirlo(ipotesi questa che, almeno a livello simbolico, è la più vicina al profondo spirito buddista).
Ovviamente per società illuminata oggi intendiamo non un utopistico regno scevro da qualunque problema , ma una comunità nella quale i problemi esistono, ma sono affrontati e risolti con un notevole grado di saggezza.
A livello storico, gli insegnamenti Shambhala sono stati introdotti in occidente in epoca recente da Ghogyam Trungpa Rinpoche, nato in Tibet nel 1939, riconosciuto come 11ma reincarnazione di Trungpa Tulku e quindi educato sin dalla più tenera età ad essere un leader sia spirituale che politico, ma poi obbligato nel 1959 alla fuga, a seguito dell’invasione e delle persecuzioni cinesi, come d’altronde accadde allo stesso Dalai Lama.
Accolto dapprima in India, nel 1963 va a studiare ad Oxford in Inghilterra con una borsa di studio, nel 1966 fonda in Scozia un centro di meditazione buddhista frequentato da studenti universitari, di fronte ai quali egli si rende conto della difficoltà di comunicare agli occidentali il cuore profondo degli insegnamenti buddhisti. Dopo un tragico incidente automobilistico che gli provoca una paralisi parziale, si trova ad interpretare questo accadimento come un potente messaggio di cambiamento impostogli dal mondo fenomenico. Decide di lasciare l’Inghilterra e si trasferisce negli USA, dove fonda un centro giovanile in cui viene a contatto con tutta la contestazione americana della beat generation, con i nuovi ideali di sesso libero, con le fughe nella droga e con tutto il mondo arroventato ed in fermento dei primi anni settanta. E’ un terreno non facile, ma che comunque si rivelerà più fertile della vecchia Europa per i suoi insegnamenti che egli porterà avanti fino alla morte. Comincia a riflettere e a discutere con i suoi studenti sull’opportunità di insegnare la pratica della meditazione non solo ai praticanti buddhisti ma, in modo laico, a tutti, perché tutti ne possano beneficiare, a livello di presenza mentale e consapevolezza, siano essi atei, cristiani o credenti di altro tipo.
Gli insegnamenti Shambhala sono quindi collegati al Buddhismo a livello profondo, ma ne costituiscono peraltro una corrente laica, da tutti condivisibile a prescindere dal proprio credo.
Nell’83 vengono presentati per la prima volta in Europa i 5 livelli di Meditazione Shambhala, noti in Italia solo dalla metà degli anni 90.
Una società illuminata non può essere attuata se non attraverso la progressiva illuminazione dei suoi singoli componenti.
La progressiva illuminazione consiste nella progressiva riscoperta della propria “bontà fondamentale”, una qualità che non appartiene solo a Cristo, al Buddha o ai grandi Illuminati, ma che è insita nella mente di ciascuno di noi, in quanto esseri umani. Essa consiste nella capacità di gentilezza, di compassione, di ascolto, di affetto, di amore, di apprezzamento della bellezza e di tutto ciò che il mondo e la vita offrono, al di là degli aspetti negativi: è apprezzare la giallità del giallo, la rossità del rosso… E’ uno stato mentale naturale, contattabile da ciascuno di noi in vari gradi e in varie situazioni, ad esempio nei momenti di commozione provocati da una bella musica o da un’opera d’arte, da un sorriso o da un evento felice.
La nostra mente ha la capacità di connettersi con la bontà fondamentale non attraverso il pensiero o il ragionamento, ma nel rilassamento, nel “lasciarsi essere”, nel vivere quei momenti senza perderli nella fretta o nell’ansia della quotidianità.
Si tratta di un vasto spazio mentale che sta nel profondo di noi stessi ed appartiene a tutti, a prescindere dallo status sociale, dal colore della pelle o dal grado di cultura, perché è una qualità ed un’esperienza profondamente umana.
Ma allora, si chiede il Prof. Bollini, perché non sperimentiamo la bontà fondamentale costantemente?
Shambhala ci risponde che noi tendiamo a schivare tale esperienza per una serie di schemi mentali di cui siamo divenuti schiavi per abitudine e che ce la impediscono. Ci creiamo una struttura estremamente complessa di difese che nella terminologia di Shambhala vengono chiamate “bozzolo”,una specie di piccolo rifugio che ci avvolge in un ambiente oscuro e soffocante ma che peraltro sembra tutelarci dalle nostre paure: e la paura più profonda è proprio quella nei riguardi della nostra bontà fondamentale, paura che ci fa percepire come estremamente pericoloso esporci agli altri, mettere alla luce il nostro cuore, i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Evitiamo di contattare direttamente il nostro spazio più profondo rifugiandoci nella superficialità, nella razionalizzazione o in altri schemi abituali difensivi che sembrano proteggerci, ma che in realtà ci fanno perdere il contatto con la parte migliore di noi stessi.
Come ricontattarla, al di là dei piccoli e sporadici flash che ancora ci concediamo?
Il metodo indicato da Shambhala è quello della meditazione, e cioè la concentrazione della nostra mente sulla respirazione, allo scopo di rallentare e domare poco a poco l’andirivieni scomposto e tumultuoso dei nostri pensieri quotidiani, che sono come nubi che oscurano il sole nascente, e cioè la fonte della nostra vitalità ed energia. Il Sole d’Oriente è infatti un potente simbolo di Shambhala e rappresenta appunto la nostra energia vitale e la naturale bontà fondamentale insita nel tutto ed in ciascuno di noi.
Nella meditazione - come la volta scorsa ci aveva spiegato anche la Comunità di Meditazione Cristiana - non si tratta di sopprimere forzosamente i pensieri, ma di lasciarli andare via con gentilezza, dopo averli coscientizzati, per tornare alla concentrazione sul nostro respiro. E’ come mettere da parte i nostri schemi mentali, le nostre ansie ed i nostri coinvolgimenti quotidiani per fare finalmente spazio a qualcosa di più ampio e grande, quale è appunto il nostro profondo spazio interiore che ci unisce al Tutto.

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